Il telelavoro ha prodotto e produrrà ancora numerosi cambiamenti nelle abitudini economiche dei vari attori presenti sul mercato. Si registra, tra l’altro, un aumento del commercio elettronico di cibi e di prodotti tecnologici; una flessione del mercato automobilistico e delle locazioni immobiliari, sia civili sia commerciali, nonché un rientro della produzione nei Paesi di origine della casa madre.
A causa dell’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del Coronavirus Covid-19, tali mutamenti, già in corso, sono stati accelerati in maniera importante. Essa si è potuta realizzare anche grazie alla rivoluzione digitale in atto che ha richiesto e richiede un approfondimento della propria cultura digitale.
La rivoluzione digitale è in corso ormai da qualche tempo. Da quando? Si potrebbe ragionare sulla creazione dell’intelligenza artificiale, e allora si risalirebbe fino alla prima metà del XX secolo, o sull’avvento di internet, e allora si parlerebbe degli anni 90 del ‘900.
A ben considerare, al limite, essa potrebbe sembrare quasi senza soluzione di continuità rispetto alla rivoluzione industriale (alcuni aspetti infatti sono gli stessi, come, per esempio, il problema della merce e del suo valore); ma, naturalmente, i due fenomeni sono diversi, in particolare in relazione al mondo del lavoro, poiché quasi sembrerebbe che l’alienazione derivante dalla ripetitività dell’attività di produzione sia sempre più assorbita dalle macchine.
Nonostante l’evoluzione tecnologica fosse in atto da molto tempo, quindi, la comparsa del coronavirus Covid-19, e la conseguente emergenza sanitaria, ha reso palese, tra l’altro, che la tecnologia, dopo essersi impadronita delle fabbriche, si è diffusa capillarmente anche nel mondo del terziario e dei servizi, sia privato sia pubblico (voce sempre più importante del PIL dei Paesi più avanzati).
Oltre al lavoro agile è possibile anche il lavoro da casa. Che l’attenzione verso questa nuova modalità di organizzazione del lavoro (che potrebbe implicare anche l’esigenza di modificare le architetture che ci circondano, soprattutto le abitazioni popolari) fosse presente già da tempo è attestato, tra l’altro, dall’approvazione della L. n. 81/2017, recante la disciplina relativa alle misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e alle misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, ossia a favorire il telelavoro (o lavoro a distanza o lavoro da remoto).
Il lavoro casa (da non confondere, quindi, con il lavoro agile) è diventato, pertanto, in questi ultimi mesi, un argomento ‘caldo’. Si parla spesso della distinzione e della conciliazione lavoro/ozio; di controllo del lavoratore, di questioni di privacy, di cibersicurezza, di dotazioni tecnologiche, di diritto alla disconnessione, di aspetti manageriali, di buoni pasto … etc.
Ma la predisposizione di una nuova legislazione, più adatta alle nuove esigenze, non potrà che tenere opportunamente conto delle dinamiche economiche scaturenti dalla nuova modalità di lavoro causata dall’avvento della diffusione di massa delle nuove tecnologie; avvento performato dalle restrizioni causate dal Coronavirus e dall’insufficiente risposta sanitaria.
Quali sono i principali effetti economici del diffondersi del telelavoro, soprattutto nella sua versione da casa? Quali modifiche nei comportamenti economici si presume che esso possa generare?
La prima evidenza è una modifica nei consumi. Sono tutti concordi: Agi-Censis, Barclays, ISTAT. Ma anche dalla parte dell’offerta qualche cambiamento è in corso.
Tre sono gli elementi da considerare:
la modalità degli acquisti;
i settori merceologici;
localizzazione della produzione;
Per quanto attiene al primo punto, la costatazione è evidente: è decollato il commercio elettronico. Se prima dell’emergenza esso era già sempre più comune, adesso che l’emergenza non è finita e, si presume, anche dopo, si è verificato che i consumatori hanno ampliato la gamma dei beni che si fanno recapitare a casa. In particolare è aumentata la consegna di cibi, mentre in precedenza erano soprattutto gli oggetti di consumo quelli maggiormente richiesti.
Nello specifico, il lavoro da casa ha aumentato il commercio elettronico di cibi perché, nonostante il lavoro dalla propria dimora, non sempre il lavoratore ha il tempo di prepararsi qualcosa da mangiare e pertanto si fa recapitare qualcosa di già pronto.
Ne consegue che i venditori al dettaglio di quartiere hanno davanti a loro la sfida di questo tipo di attività. In ordine, invece, ai settori merceologici, le abitudini dei consumatori sono cambiate, proprio in risposta ai mutamenti del contesto nel quale si sono ritrovati a vivere, in prima istanza alle mutazioni delle modalità lavorative.
In primo luogo si è registrata una flessione nella vendita delle automobili, nonché nell’utilizzo dei mezzi pubblici. In verità a tale flessione, apparentemente negativa, si è accompagnato, positivamente, un abbassamento dei livelli di inquinamento.
Se, quindi, una restrizione del mercato delle automobili desta numerose preoccupazioni, considerata la sua importanza, al contempo, in chiave ecologica si è registrato un miglioramento dell’aria. Viceversa si è notato un incremento nella vendita di oggetti tecnologici. Spesso, infatti, il lavoratore, in particolare il dipendente, considerata l’eccezionalità della situazione, ha dovuto dotarsi autonomamente delle apparecchiature necessarie per poter proseguire la propria attività.
Naturalmente tale incremento non è dovuto solo a ragioni lavorative, ma anche di ozio (la noia, come disse il poeta, con uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo). In prospettiva, si prevede, d’altronde, che aumenteranno gli investimenti sugli immobili di residenza per migliorarne gli interni, poiché le persone passeranno più tempo a casa.
Il diffondersi del telelavoro, in particolare nella modalità da casa ha inoltre contratto – e si prevede che la situazione non si modificherà a breve termine – la richiesta di locazioni, sia abitative sia commerciali. Numerosi lavoratori ‘fuori sede’, infatti, hanno avuto l’opportunità di rientrare presso il centro dei propri interessi, soprattutto familiari. Tale ‘migrazione’ è stata soprattutto dai grandi centri ai piccoli centri.
Il che implica, e soprattutto implicherà, che gli organizzatori di lavoro devono e dovranno ripensare gli ambienti nei quali normalmente organizzavano la propria attività, considerando che, all’estremo, alcuni non avranno più bisogno di un ufficio strutturato vero e proprio.
Tale fenomeno riconduce al terzo dei punti in precedenza richiamati, ossia a quello della localizzazione della produzione. Si sta registrando, infatti, oltre la riallocazione delle destinazioni d’uso degli edifici, un rientro dei fattori produttivi, dalle zone di produzione localizzate all’estero, nel Paese della casa madre.
Tale ripensamento dell’organizzazione produttiva, come espresso da Onida nel giugno del 2020, è in parte dovuto, oltre a dinamiche geo-politiche (la globalizzazione è in crisi?), anche all’esigenza di un rigoroso controllo di qualità, di affidabilità e tempestività di consegna dei prodotti, le cui ragioni sono da ricercare, in particolare, in quanto indicato in precedenza: aumento dell’attenzione al consumo e diffondersi del commercio elettronico, il tutto riconducibile alla nuova modalità operativa, ossia quella del lavoro da remoto (in particolare da casa).
Insomma, è innegabile che il mutamento delle modalità lavorative ha prodotto e produrrà un differenziamento nei comportamenti economici dei vari attori presenti sul mercato. Ancora una volta, e sempre più devono rimanere linee guida importanti. Ma, in misura ancor maggiore, è fondamentale ampliare la cultura dell’automatismo capillarmente: l’esistente non può essere ignorato.